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Vannacci e i podcast

  • Alessandro Morelli
  • 14 gen
  • Tempo di lettura: 4 min

Tra provocazione e moderazione per prendersi i giovani

“Uno spettro si aggira nel centro-destra, è lo spettro di Roberto Vannacci".

Dopo aver cavalcato la cresta dell’onda durante le elezioni europee, “Il generale” Vannacci

sembra essere passato un po’ in secondo piano. Durante la campagna elettorale infiammò il dibattito, spaccò in due l’opinione pubblica con veri e propri tormentoni come quello sulla “Decima” sulla tessera elettorale, palese richiamo alla Decima Flottiglia Mas, ma ora il generale sembra voler utilizzare un “doppio binario” comunicativo.

Dopo aver fatto fortuna con i suoi “eccessi comunicativi” e usando la statistica per

giustificare dichiarazioni su omosessuali e neri (in maniera un po’ forzata), Vannacci sembra

aver trovato il mezzo perfetto per rendersi appetibile al target più impermeabile alle sue idee,

i giovani, concentrandosi in particolare sui maschi. E qual è il format audiovisivo più

utilizzato dai giovani, i podcast:

Spopolati negli ultimi anni, i podcast sono entrati prepotentemente nel sistema della

comunicazione e dell’informazione, tanto che quasi tutte le principali testate giornalistiche,

nazionali e mondiali, ne hanno uno o più.

Gli argomenti trattati nei podcast sono i più disparati, dallo sport alla finanza, passando per

la musica, la scienza e, ovviamente, la politica.

Perché il podcast ha preso il posto della televisione per la GenZ? Nei podcast si vedono

raramente litigi furibondi tra partecipanti in cui le voci si sovrappongono e le informazioni

vengono ritenute dagli ascoltatori più “libere” di quelle sentite nei salotti televisivi. Queste

due caratteristiche permettono al contenuto di essere più fruibile e meno confusionario

rispetto al piccolo schermo che ha monopolizzato per anni l’informazione.


Questa tendenza è stata compresa bene da Roberto Vannacci, probabilmente il “politico”

italiano, per quanto questa dicitura possa aderire a un uomo alla sua prima carica elettiva e

che non ha mai firmato un proposta di legge, più accorto a livello comunicativo. Lo stesso

Fedez, da sempre avverso agli ambienti della Lega, prima di invitare Vannacci al suo nuovo

podcast ha affermato alla Zanzara: “Vannacci batte la Schlein 10-0 a livello comunicativo”.

Proprio a “Pulp Podcast”, condotto proprio dal cantante e da Mr Marra, Vannacci ha

utilizzato un approccio moderato, si è mostrato aperto al dibattito (eludendo magistralmente

qualche domanda che lo avrebbe potuto mettere in difficoltà come quella sul codice della

strada) senza particolari “sparate” sui temi più dell’attualità: dalla guerra in Ucraina al

politicamente corretto, sottolineando spesso la sua esperienza nell’esercito e allo stesso

tempo il suo essere padre di due figlie.

Vannacci si è quindi mostrato come una persona normale, non un mostro come, sbagliando

completamente strategia, le forze di opposizione vogliono dipingerlo. Se infatti l’ex generale

è un asso della comunicazione, partiti come il PD sbagliano completamente approccio: la

demonizzazione dell’avversario politico non fa altro che aumentare la tensione e portare le

persone a rifiutare il dialogo e trincerarsi nelle idee di una figura messianica, l’uomo

forte…Trump docet.


Proprio Trump è stato precursore nell’utilizzo dei podcast durante le presidenziali che lo

hanno portato alla Casa Bianca. Gli osservatori hanno notato come Trump si sia servito di

numerosissimi podcast, tra cui Joe Rogan, per intercettare il cosiddetto “bro vote”, termine

con cui si identifica la fetta di elettorato maschile sotto i trent’anni. E ci è pienamente riuscito:

Il tycoon ha ottenuto 2% in più di Kamala Harris negli under 30 (Joe Biden prese l’11% in più

del candidato repubblicano alle presidenziali precedenti) e nei giovani maschi senza laurea il

rapporto Trump-Harris è 56 a 40 (il restante 4% ha votato per il candidato dei Verdi).

Prima abbiamo citato Joe Rogan: Il podcast condotto dal controverso presentatore texano è il primo podcast per ascolti su Spotify da 5 anni consecutivi. Proprio la piattaforma ha rinnovato un accordo pluriennale da oltre 250 milioni di dollari per una partnership col conduttore del “Joe Rogan Experience”.

Infine, per rendere l’idea del peso dei podcast nella nuova comunicazione politica, Francesco Costa, neo-direttore del Post e esperto di politica statunitense, ha citato un aneddoto durante il podcast (tra l’altro) di Matteo Gazzoli “Passa dal Bsmnt”:

Costa racconta come durante una campagna elettorale per le presidenziali americane i candidati debbano coprire distanze enormi e hanno pochissimo tempo a disposizione, inoltre gli sforzi si concentrano principalmente nei famosi “swing states”. Joe Rogan registra il suo podcast esclusivamente ad Austin, Texas, Stato profondamente repubblicano e mai al centro della campagna elettorale. Per andare lì quindi Trump è arrivato in ritardo di due ore ad un suo comizio in Michigan, stato chiave nelle elezioni.

Anche Harris è stata invitata al podcast di Rogan ma ha posto come condizione che la puntata si registrasse da lei e che durasse un’ora (quella di Trump è durata circa 3) ma Rogan ha rifiutato.

Alla fine ha avuto ragione Trump, il podcast è stato visto da oltre 50 milioni di persone ed è stato più influente di qualsiasi altro comizio.


Il futuro della comunicazione politica sono i podcast, se non un monopolio, diventeranno una parte fondamentale del nuovo approccio dei politici ai media soprattutto per intercettare i giovani, sempre più lontani e disinteressati.

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