Quella volta che l'Europa reagì.
- Alessandro Morelli
- 12 mar
- Tempo di lettura: 6 min
Suez, 1956
Siamo negli anni ‘50, l’Europa prova a dare segnali di ripresa e la lingua del continente non è più la spada ma la diplomazia. Ogni sforzo diplomatico in questo momento è rivolto al processo di integrazione europea. Il fallimento della CED (Comunità Europea di Difesa), prima proposta e poi affossata dalla Francia, sembra aver interrotto il programma che avrebbe dovuto portare all’Europa Unita, inaugurato con la CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) nel 1951.
Jean Monnet, politico francese ritenuto tra i padri fondatori dell’Unione Europea, tuttavia, riteneva che la questione dovesse essere ripresa in considerazione dai governi che avevano manifestato il loro convinto sostegno alla creazione della CECA. Era necessario non lasciar passare troppo tempo, con il rischio di veder esaurita quella disponibilità a tratti entusiastica che aveva accompagnato l’adesione dei governi dei 6 paesi della piccola Europa (Italia,Germania Ovest, Francia, Olanda, Belgio e Lussemburgo) alla CECA.
Alla base dell’azione di Monnet c’era l’idea funzionalista: diversamente dal federalismo, che intendeva arrivare immediatamente all’unione politica tra gli stati europei, i funzionalisti come Monnet credevano che fosse impossibile, in un’Europa appena uscita da una guerra intestina, un’immediata unione politica e che fosse necessario procedere per gradi, chiedendo agli stati di cedere una “fetta di sovranità alla volta”.

L’ambito nuovo, attraverso il quale il processo unitario poteva ripartire, doveva essere, secondo Monnet, l’energia atomica.
Egli promosse la creazione di una nuova istituzione europea diretta, sul modello della CECA, alla messa in comune della produzione, distribuzione e utilizzazione dell’energia atomica. Venne quindi proposta l’idea di creare la CEEA (Comunità Europea per l’Energia Atomica), in Italia ci siamo sempre riferiti a questa col termine EURATOM. La proposta venne accolta da positivamente dalla Francia, mentre la Germania e i paesi BENELUX (Belgio-Olanda-Lussemburgo) proposero un piano ben più ambizioso: l’abbattimento di dazi doganali e l’introduzione del libero mercato, detto in una parola un
Mercato Unico Europeo.
Venne istituito un comitato di studi, composto da tecnici delegati dei vari paesi, per studiare la fattibilità delle proposte. Si decise in un certo senso, di prendere tempo, di affidare a questo comitato lo studio della questione, di far decantare le interpretazioni e le questioni, permettendo di approfondirle e farle conoscere anche all’opinione pubblica, in modo tale da far maturare una decisione, non mettendo i governi nella scomoda posizione di dover impegnarsi con un sì o sfilarsi definitivamente con un no.
Dopo 11 mesi vennero resi noti i risultati del comitato: sì alla CEEA e al Mercato Unico.

Per quanto riguarda il mercato unico però venivano fatte delle raccomandazioni come l’istituzione di una tariffa esterna comune, la creazione di un sistema di regolazione della concorrenza e la libera circolazione non soltanto delle merci ma anche dei lavoratori.
Ma tra il dire e il fare c’è… la Francia:
il governo francese, era un governo fortemente europeista, che però doveva confrontarsi con una parte dell’amministrazione e del mondo economico-produttivo che, invece, si mostravano estremamente diffidenti verso le questioni europee sia a riguardo della CEEA e sul Mercato Unico.
Sulla CEEA, Parigi si esprime a favore a patto che la Comunità si occupi soltanto dello sviluppo dell’energia atomica, per fini civili, quindi di carattere economico e che, alla Francia fosse riservata la possibilità di promuovere un'attività di ricerca e sviluppo dell’energia atomica per fini militari, una forza atomica indipendente dalla NATO.
Sul Mercato Unico le condizioni furono altrettanto pesanti:
La richiesta di una fase sperimentale per verificare l’impatto sull’economia francese, tradizionalmente sostenuta politiche protezioniste.
"Un’armonizzazione verso l’alto delle politiche sociali e della legislazione sul lavoro” di tutti i futuri partner europei, in parole povere veniva chiesto agli altri paesi di adattare la propria legislazione sul lavoro e il proprio welfare al livello francese.
Una politica comune dell’agricoltura.
L’associazione dei territori d'oltremare francesi alla comunità, così da eludere i la tariffa esterna comune da cui verrebbero colpiti.
Le condizioni poste dalla Francia sono talmente pesanti da dare l’impressione di risultare quasi insuperabili e nell’ottobre del 1956 la trattativa entra in un blocco, che sembrerebbe condannarla ad un fallimento.
La situazione si sbloccò quasi miracolosamente a seguito di un’enorme crisi internazionale.

La crisi di Suez del 1956
Il leader del nuovo Egitto Gamal Abd el-Nasser immagina per il proprio paese, appena liberato dal fardello coloniale, un ruolo di grande potenza destinato a far conseguire una posizione egemonica in quelle che definiva le 3 grandi cerchie di interesse geopolitico dell’Egitto: Il Nord Africa, Medio Oriente e mondo islamico. Per fare questo, però, Nasser ha bisogno di lanciare un grande progetto di sviluppo e modernizzazione di un paese che era ancora arretrato e legato all’economia coloniale britannica.
Dopo il fallimento delle trattative per un prestito da parte degli Stati Uniti, Nasser decide di nazionalizzare la compagnia anglo-francese che fino a quel momento aveva gestito tutti il sistema di passaggio il Canale di Suez. L’Egitto in questo modo potrà, oltre che godere degli introiti dovuti ai pedaggi, costruire una grande diga che consenta una migliore regolazione del flusso d'acqua così da assicurare alle campagne egiziane un grande periodo di fertilità. Il tutto accompagnato da tutta una serie di investimenti infrastrutturali e industriali, destinati a rafforzare il sistema economico del paese.
Londra e Parigi reagirono in modo violentissimo, dispiegarono le proprie truppe e recuperarono il controllo del canale.
Contro i due paesi europei però, si schierano sia gli Stati Uniti che l’Unione Sovietica, i quali imposero agli europei il ritiro delle truppe sotto la minaccia di un bombardamento atomico, da parte russa, e di una guerra commerciale, da parte americana.
Di fronte a queste prese di posizione Inghilterra e Francia non poterono far altro che ritirarsi. Tuttavia l’esito di questa vicenda fece correre un brivido a tutt’Europa, tutte le cancellerie presero coscienza che la capacità di azione internazionale dell’Europa, rispetto alle due superpotenze, fosse ormai evaporata.
L’esito della Crisi di Suez è l’evidente manifestazione che i paesi europei, ormai, nelle grandi questioni internazionali, sono costretti a muoversi di scorta rispetto alle decisioni delle due superpotenze, in particolar modo quella statunitense, le quali impongono le regole del gioco e le decisioni.
Per gli europei è l’ora di correre ai ripari, se non si uniscono ancor più strettamente tra loro e non puntano a dar vita ad un’entità quanto più solida e integrata, da soli non potranno più esercitare una capacità d’azione e di influenza sul piano internazionale.

Inaspettatamente le trattative sul mercato unico si sbloccano, tutti i governi manifestano una disponibilità a cercare soluzioni di compromesso ai vari problemi, in particolar modo i francesi che rinunciano a alle richieste in materia di politica del lavoro, alla possibilità di uscire dal trattato ma ottengono la creazione di una politica agricola comune e, soprattutto, la possibilità di sviluppare la propria forza atomica in maniera autonoma.
Fu così che il 25 marzo 1957 vennero firmati, a Roma, due trattati istitutivi della Comunità Economica Europea da un lato e dell’EURATOM dall’altro. Nasceva quindi la Comunità Europea che avrebbe trovato la sua consacrazione nel 1992 con la firma del Trattato di Maastricht che diede vita all’Unione Europea per come la conosciamo oggi.
Di necessità virtù, gli stati europei cedettero un “fetta di sovranità” in nome del sano pragmatismo, realizzando il sogno di Monnet.

Le analogie con la situazione attuale sono innumerevoli:
L’Europa, o meglio, l’Unione Europea, qualsiasi cosa sia, inerme e costretta ad un posto in platea mentre USA e Russia inscenano l’atto finale della guerra in Ucraina; Francia e Regno Unito che credono di poter esercitare un’anacronistica influenza sulle dinamiche internazionali e, infine, secondo la massima “La storia si ripete sempre due volte la prima volta come tragedia la seconda come farsa” abbiamo Russia, non più URSS, e Stati Uniti che minacciano rispettivamente l’uso dell’atomica e una guerra commerciale.
Dai 6 stati che firmarono i Trattati di Roma, ora l’Unione Europea comprende 27 paesi, tutti unanimemente chiamati a prendere una posizione su una forma di difesa comune. In una situazione di profonda crisi (anche) identitaria dell’Unione Europea, è necessario ragionare fuori dagli schemi, fare ciò che è necessario. Che sia l’esercito comune europeo? Che sia il piano “REarm EU”? Della loro fattibilità parleremo probabilmente in futuro, ma la congiuntura storica in cui ci troviamo oggi ha esplicitato tutte le lacune dell’Unione Europea, in particolar modo quella securitaria, su cui però si regge il tutto.

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