Il centro.
- Mattia Todini
- 3 apr
- Tempo di lettura: 6 min
5 partiti in cerca di un federatore.
Più partiti che elettori? Il destino dei liberali in Italia.
Il mondo liberale in Italia non ha mai avuto particolari fortune e già negli anni ‘50 il Partito Liberale Italiano ironizzava sulla magra quantità di consensi che riusciva a raccogliere. In un manifesto si vedevano infatti quattro gatti, gli esponenti del PLI appunto, che proprio perché così pochi non riuscivano a fermare l’invasione di topi che stavano divorando la forma di formaggio che rappresentava il Bel Paese. Il Partito infatti non ha mai brillato per risultati elettorali (arrivando come massimo intorno al 7% nel 1963) per motivi diversi: innanzitutto lo spazio occupato al centro dalla DC per tutta la prima repubblica, di cui il PLI ha sempre fatto la “stampella” l’isolamento all’opposizione durante gli anni del centrosinistra o la svolta liberal proprio negli anni in cui oltre-Manica e oltreoceano spopolava il liberismo conservatore di Thatcher e Reagan. Nonostante il poco successo alle urne comunque il PLI ha fornito in praticamente quasi tutti i governi della Prima Repubblica ministri e sottosegretari, anche in ruoli chiave (Ministero della Difesa, della Sanità e degli Interni) oltre ad esprimere i primi due Presidenti della Repubblica, De Nicola ed Einaudi.

Negli anni Novanta, lo scossone di Tangentopoli fa sciogliere anche il PLI ma dalle nebbie della Brianza un Cavaliere, in sella ad un biscione, decide di scendere in campo proprio per non
“vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare”.
Stiamo naturalmente parlando di Silvio Berlusconi che sin dal suo ingresso nella vita politica italiana ha sempre parlato di una rivoluzione liberale da portare avanti nel paese col suo partito, Forza Italia.
La suddetta rivoluzione prevedeva un nuovo rapporto dei cittadini con lo Stato, che doveva essere meno presente in termini burocratici e soprattutto di tassazione, per evitare di schiacciare il cittadino in una morsa liberticida; anche sul piano economico Berlusconi prometteva un profondo rinnovamento dopo un cinquantennio di partecipazioni statali e colossi industriali pubblici: era arrivato il momento delle piccole e medie imprese, dei liberi professionisti e dei self made men per un “nuovo miracolo italiano”.
Le promesse del Cavaliere tuttavia si rivelarono più che altro una scintillante facciata, degna dei programmi patinati delle sue televisioni, che resero la rivoluzione liberale annunciata e millantata piuttosto che realizzata. La battaglia di Berlusconi contro le forze illiberali, accentratrici e stataliste continuerà comunque per anni senza mai portare a risultati concreti in termini di slanci più liberali in termini economici e sociali; l’appeal del Cavaliere è comunque andato a diminuire nel corso degli anni ma la sua rivoluzione non è stata messa in soffitta, anzi.

A guardare l’arena politica odierna…
Se allarghiamo la definizione di liberale e consideriamo posizioni che più in generale si potrebbero definire “di centro” o comunque alternative alla destra e alla sinistra abbiamo tre partiti con rappresentanza in Parlamento (Azione, Italia Viva e +Europa) e due movimenti nati da poco (il Drin Drin e il Partito Liberaldemocratico). Ora, per un osservatore esterno l'Italia sembrerebbe il paradiso per un elettore liberale, data la quantità di partiti tra cui scegliere, ma stando agli ultimi sondaggi si capisce subito che questa estrema frammentazione rende questi partiti pressoché ininfluenti in uno scenario politico sempre più bipolare.
Quando si parla di frammentazione dei partiti si potrebbe pensare che essa possa essere causata dalla differenza dei programmi e dei valori di cui essi si fanno portatori ma nel nostro caso basta dare uno sguardo ai manifesti, alle dichiarazioni dei leader e alle proposte presentate nelle ultime campagne elettorali per capire che non è questo il caso perché su molti temi c’è grande vicinanza tra i vari movimenti.
Facciamo qualche esempio
Posizioni molto favorevoli all’utilizzo dell’energia nucleare per un mix energetico più sostenibile sia in termini economici che ambientale per una transizione ecologica lontana dalle ideologie ma pragmatica e sostenibile socialmente
Difesa ed espansione dei diritti civili
Riforma fiscale per un sistema meno oneroso e più semplice, con la riduzione delle tasse sul lavoro e sugli investimenti, in modo da agevolare la libertà d’impresa e la ripresa della produzione industriale
Rendere più flessibile il mercato del lavoro e garantire la libertà economica
Modernizzare le infrastrutture e gli apparati burocratici, revisionando anche la spesa pubblica
Favorire gli investimenti nel campo della digitalizzazione e l’informatizzazione
Politiche di accoglienza dei migranti eque, sostenibili e organizzate, anche a livello europeo
Liberalizzare le licenze dei taxi e le concessioni per la gestione degli stabilimenti balneari
Atlantismo ed europeismo (in particolare rafforzamento delle istituzioni europee per arrivare a un progetto federalista europeo) in politica estera
Ma allora perché cinque movimenti per esprimere opinioni simili e pescare nello stesso bacino elettorale? Perché non bisogna dimenticarsi che siamo sempre nel paese delle liti delle comari.

La litigiosità dei nostri leader però è stata anche aggravata dal fenomeno della crescente personalizzazione della politica; questa infatti ha fatto sì che i partiti, abbandonando la loro carica ideologica e la loro struttura interna rigidamente organizzata, siano diventati sostanzialmente dei comitati elettorali atti a sostenere il leader, che diventa il vero centro del movimento e automaticamente il suo collante. Ecco che se il partito è il suo leader, un conflitto tra leader allontana i partiti da qualsiasi dialogo. Se poi i leader sono più delle prime donne preoccupate da chi ha più spazio in scena che dei politici attenti alla situazione critica del nostro paese… il risultato è presto ottenuto.
Agli occhi dei lettori, queste righe appariranno proprio come l’autopsia del cadavere del fu Terzo Polo, la federazione di Azione e Italia Viva in vista delle elezioni politiche del 25 settembre 2022, disciolta poco dopo l’inizio della legislatura perché si sa: due galli in un pollaio non possono convivere. Se non fosse per la fine ingloriosa però il Terzo Polo è sicuramente un esperimento interessante perché dimostra che le posizioni liberal-democratiche riescono comunque a conquistare una fetta di elettorato consistente (circa l’8%), ottenendo successi soprattutto nei poli produttivi del paese e tra i giovani e gli universitari.
Non tutto allora è perduto per il mondo liberale italiano; gli elettori ci sono, vanno solo indirizzati ad un voto che possa essere utile e non sprecato. E’ difficile infatti risultare appetibili alle urne e impattanti sulla vita pubblica del paese con percentuali che non superano la soglia di sbarramento. Innanzitutto perché la nostra legge elettorale prevede che una parte dei seggi sia assegnata con il sistema maggioritario ma anche perché, come ricordato, siamo di fronte a un panorama politico sempre più bipolare e quindi una ipotetica Terza Forza deve necessariamente essere consistente numericamente se non vuole essere schiacciata dagli estremi.
L’Italia ha poi una storia di voti “di pancia” e non di opinione; durante la prima repubblica si votava un partito perché si “apparteneva” in tutti i sensi a quel partito (si era democristiani, non si votava DC; si era comunisti, non si votava PCI) e nella Seconda il voto era una dimostrazione di essere pro o contro Berlusconi. Per questo il mondo liberale deve costruire un nuovo modo di richiamare a sé elettori, convincendoli che proposte serie e realizzabili sono meglio di promesse utopistiche e semplificazioni onnipresenti di problemi molto complessi.

"Occorre quindi creare appartenenza, non rintanarsi nella torre d’avorio, sporcarsi le mani, arrivare alla pancia dell’elettorato per evitare che un ipotetico partito risulti elitario e lontano dalla piazza ma allo stesso tempo senza scadere nel populismo demagogico."
I passi da fare dunque sono molti, con l’obiettivo finale di appianare le differenze e puntare sulle similitudini, ma il percorso, seppur accidentato, non è impossibile da praticare. Infine non ci si deve dimenticare che nel nostro paese il 40% degli aventi diritto non va alle urne, e questo numero enorme di cittadini può sicuramente rappresentare una valida riserva di voti per chi vuole creare un’alternativa ai populismi di destra e di sinistra. Le tanto decantate “praterie di centro” esistono… basta solo non lasciarle a destra e sinistra.
Un avvertimento però a chi si farà promotore di iniziative federatrici o unitariste: in politica non è detto che la somma faccia il totale e non basta unirsi solo per prendere più voti. La proposta da costruire deve essere necessariamente seria e credibile se si vuole arrivare a risultati produttivi e soddisfacenti.
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