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Erdogan Monopoly

  • Jacopo Marinacci
  • 25 mar
  • Tempo di lettura: 4 min
  • 31 maggio 2024, il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoğlu, del Partito Popolare Repubblicano (CHP), laico e socialdemocratico, sulla sua vittoria contro il candidato sostenuto dal presidente Erdoğan alle amministrative -

“Oggi la democrazia turca è più forte. Queste elezioni rappresentano un importante dato sull'intervento socialdemocratico contro l'autoritarismo. Nonostante le massicce campagne diffamatorie e di discredito lanciate ogni giorno contro di noi dalla maggior parte dei media. I nostri candidati hanno vinto nelle città che producono circa l'80% dell'economia turca e dove vive il 70% della popolazione. I nostri cittadini hanno espresso la loro volontà di cambiamento in queste elezioni e hanno tracciato un nuovo corso per la Turchia.”
  • 19 Marzo 2025, la polizia turca arriva all’alba nella residenza di Ekrem Imamoğlu, prelevandolo per interrogarlo con le accuse di leadership di un’organizzazione criminale, costituzione di un’organizzazione criminale a scopo di lucro, e altre accuse di reati finanziari e truffe (come si può leggere sul mandato di cattura della Procura di Istanbul). Il giorno prima è stata revocata la sua laurea dall’università di Istanbul. Si sono registrati centinaia di arresti ulteriori: persone legate al sindaco, altri sindaci, e molti attivisti, tra cui un importante giornalista, Ismail Saymaz, noto per le sue posizioni critiche contro Erdoğan. L’opposizione turca grida al colpo di stato.


L’arresto di Ekrem İmamoğlu non è un caso isolato, e ce lo ricorda il giornalista turco Fehim Taştekin:

”Accademici, politici, giornalisti e scrittori sono stati licenziati, sospesi e arrestati in questi anni. Il governo centrale ha messo le mani sulle università, la magistratura e le amministrazioni locali in continuazione. Oggi ci sono migliaia di persone in carcere e in esilio”.

Ci troviamo di fronte all’ennesima conferma di una strategia sistematica volta ad epurare l’opposizione politica in Turchia. Mentre il paese si avvicina alle presidenziali del 2028, Recep Tayyip Erdoğan sembra pronto a utilizzare ogni mezzo per garantire la sua permanenza al potere.


Da mesi era nell’aria la voce che il primo cittadino di Istanbul sarebbe potuto essere il candidato adatto per il Chp alle Presidenziali del 2028. L’arresto avviene in un contesto per niente casuale, infatti per domenica 23 marzo erano previste le prime primarie nella storia del Chp e Imamoğlu, dato per favorito già da qualche tempo, ha ottenuto circa 15 milioni di voti, vincendo quindi le primarie. Abbiamo citato l’annullamento della laurea, perché essa è uno dei requisiti necessari per candidarsi alle Presidenziali turche


La storia non cambia da quella delle elezioni locali del 2019 e 2024, se non per un elemento in più da considerare: il 27 Febbraio 2025, il leader del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan), ha annunciato la fine della lotta armata contro lo Stato turco, spostando quindi la questione curda sul piano politico. Come si collega quindi l’arresto del sindaco di Istanbul con la questione curda?


Ci sono tre cose che il presidente turco deve fare per assicurarsi la vittoria anche alle prossime presidenziali 2028: indebolire il Chp, cambiare la Costituzione per potersi candidare ancora e assicurarsi l’appoggio del Partito Democratico dei Popoli curdo (HDP), alleato del Chp. Modificare la Costituzione non è un’impresa semplice, ma Erdoğan potrebbe sfruttare l’assenza di un’opposizione coesa per forzare un cambiamento. Se riuscisse a convincere il Partito Democratico dei Popoli (HDP) a sostenerlo in cambio di concessioni alla minoranza curda, potrebbe ottenere la maggioranza parlamentare necessaria per un emendamento costituzionale che gli permetta di ricandidarsi nel 2028.


La fine della lotta armata del PKK contro lo Stato turco, pone l’HDP in una situazione delicata: nonostante la fine degli scontri il governo turco non ha mai fatto promesse ufficiali su maggiori diritti e apertura di un dialogo politico con la minoranza curda, e questo espone le comunità curde in Turchia e in Siria ad eventuali ritorsioni, che potrbbero essere evitate, soltanto col compiacimento delle richieste di Erdoğan all’HDP, ossia il sostengo alle Presidenziali 2028.


Con la Lira turca al minimo storico (inflazione al 60% a febbraio 2025 secondo i dati dell’istituto statistico turco), l’accesso ai social categoricamente limitato e le strade di Istanbul, Ankara e di tanti altri centri urbani inondate di proteste, i progressi geopolitici degli affari esteri e dello sviluppo del soft-power della Turchia rischiano di essere offuscati da questi disordini interni causati dall’ennesima strategia autoritaria applicata da Erdoğan con la strumentalizzazione della magistratura, che negli ultimi mesi ha colpito forze dell’opposizione curda e repubblicana, non risparmiando neanche la destra (il leader del partito di estrema destra, Ümit Ozdağ è stato arrestato a gennaio per “insulto al presidente”).


Resta da vedere fino a che punto la popolazione turca accetterà questa nuova stretta autoritaria, dato che le proteste si sono diffuse anche a Rize, città natale del ”Reis” dove alle ultime presidenziali ha ottenuto più del 75% dei voti, segnando un’escalation importante dei movimenti di protesta turchi. Il ministro degli Interni, Ali Yerlikaya, ha detto che 323 persone sono state arrestate in seguito alle proteste di sabato sera. In precedenza, aveva detto: "Non ci sarà tolleranza per coloro che cercano di violare l'ordine sociale, minacciare la pace e la sicurezza delle persone e perseguire il caos e la provocazione". In pochi giorni, quelle che sono iniziate come proteste per l’arresto di Imamoğlu, si stanno trasformando in qualcosa di più grande: una protesta per la democrazia.


Gli USA, per ora non si esprimono, e l’Ue tantomeno: con il rinomato ruolo della Turchia come alleato strategico per la gestione dei flussi migratori, per la nuova “difesa comune” e per la possibilità di comunicazione con il nuovo governo siriano attraverso di essa, l’Europa, per ragioni strategiche potrebbe scegliere di non intervenire, favorendo il “Reis”.


Da quando ha assunto la guida del Paese nel 2003 come Primo ministro, Erdoğan è riuscito a centralizzare il potere intorno a sé e al suo circolo ristretto di fedelissimi. Tra questi figurano alcuni dei suoi familiari, come il secondogenito Bilal Erdogan, che controlla direttamente o attraverso intermediari diverse aziende statali, e soggetti come Hakan Fidan, ministro degli Esteri e in precedenza a capo dell'intelligence turca per 13 anni.


Inoltre, il fallito colpo di Stato del 2016 ha offerto a Erdogan il pretesto perfetto per riformare radicalmente l'apparato statale. Ne è conseguito il licenziamento di 125mila funzionari, tra cui più di 5mila giudici. In seguito a questa profonda epurazione, magistratura ed esercito, due istituzioni fondamentali, sono stati soggetti a una completa riorganizzazione.


Erdogan, di fatto, ha preso una Turchia democratica e l'ha trasformata, indirizzandola verso un percorso caratterizzato da conservatorismo, autoritarismo e aspirazioni imperialiste.



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